26 febbraio 2010

Che cos'è il male?

Il male appare anzi tutto come una forza cieca e devastante, che incombe sugli uomini e si abbatte su di loro in modo inesorabile. Ad esempio, nell'Ecclesiaste si legge che vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e per l'empio. E questo è il male. Come se il male appartenesse alla condizione umana in quanto tale, indipendentemente dagli sforzi che l'uomo fa per allontanarlo o rimuoverlo. Perciò Marx ha potuto parlare del male come di qualcosa che è nella realtà stessa, prima ancora che nel cuore dell'uomo. Ma già l'antica sapienza greca aveva affermato che il male è nell'essere, tanto che il semplice fatto di nascere deve essere espiato con la morte. Nonostante questo, il male non è veramente tale se non in rapporto con l'uomo, e non solo con l'uomo che lo subisce, ma principalmente con l'uomo che lo fa. Tant'è vero che il male ci fa davvero male là dove vediamo un'intenzione umana di ferire o anche solo una disattenzione, una mancanza di cura, di condivisione, di pietà. Non solo, ma la psicologia ci fa scoprire che il male da noi patito è spesso da noi voluto sia pure in modo oscuro e contraddittorio. Non insegnava già la tragedia greca che noi portiamo la colpa, cioè siamo responsabili del nostro stesso destino? Se portiamo la responsabilità anche di ciò di cui non siamo direttamente autori, faremmo bene a chiederci qual è la nostra posizione nei confronti del male che vediamo dilagare intorno a noi. Certo, non possiamo dirci responsabili dell'orrore che quotidianamente ci investe come documentano i media. Eppure non possiamo lavarcene le mani. E' stato scritto: "Noi non siamo responsabili di tutto il male del modo, ma siamo responsabili di fronte a tutto il male del mondo". Qui si pone il problema del senso del male. Il male non è una fatalità naturale, ma una realtà terribile, che vede coinvolta la personalità al suo livello più profondo. Certo il tempo sembra poter cancellare anche le ferite più dolorose. Il velo dell'oblio si stende sia sulla vittima che sul suo carnefice. Ma questo non toglie che noi siamo chiamati a prendere posizione sul male, come se il nostro giudizio dovesse valere per sempre.
Assolutamente impossibile, se si possiede la capacità di osservare la realtà che ci circonda almeno per quanto essa appare ai nostri sensi, non riconoscere l'esistenza della forza del male esattamente come descritta nel testo che ho riportato. Il male è insito e travolgente nella nostra natura, ma il sapersi ribellare ad esso eleva l'uomo da un ammasso di carne ad un essere degno della vita. Infatti credo di non esagerare nell'affermare che un uomo che si lascia travolgere dal male sta ad uno che al male resiste esattamente come un uomo morto sta ad un uomo vivo.

25 febbraio 2010

Ma chissà perché...

Nonostante tutto, nonostante stia decisamente meglio, chissà perché mi capita di vivere momenti come questo in cui vorrei davvero farla finita...
Purtroppo e per fortuna non è troppo facile.
C'è molta sofferenza nel mondo, sofferenza senza un'apparente origine. E' fine a se stessa, e il male fine a se stesso è insito nella natura umana che ne viene dominata essendo di gran lunga più debole.

23 febbraio 2010

Il sogno

Da tempo le mie notte sono a malapena benedette da Ipnos e quasi mai da Morfeo. Tuttavia quest'ultima notte non solo ho dormito ma ho anche sognato e perfino mi ricordo cosa ho sognato. Non ho una visione mnesica completa del sogno, ma alcuni brandelli li ho assolutamente scolpiti nella mente e credo vi rimarranno per un bel po' di tempo... strano per un sogno, spesso un insieme di immagini inutili che si scordano al mattino.
Non so dire se si trattasse di un sogno bello, ma di sicuro, per lo meno per il vissuto emotivo che l'ha accompagnato, brutto non era. Quello che mi rimane ora in memoria è equiparabile a tre frammenti di una grande tela dipinta con colori vividi.
Il primo frammento riguarda me, nel porto di New York. Ero certo di essere proprio nel porto di New York pur essendo il paesaggio assolutamente incompatibile con tale sito. Infatti pareva più il panorama dolce collinare che si osserva in certe alture sopra il Lago di Como in cui il verde della vegetazione, radamente solcato da stretti sentieri, si continuava nell'acqua. Ma a differenza di un paesaggio lacustre, per definizione un po' opprimente, l'orizzonte era estremamente aperto, con qualche nodo di vento che spostava dolcemente un'aria salmastra resa tiepida da un sole tardo primaverile. In acqua, una chiara acqua marina azzurro chiaro, vi era una nave o al massimo un paio, in lento movimento. Io assolutamente convinto che quello era il porto di New York, ero in compagnia della mia ex convivente e con lei camminavo su un sentiero. Della sua immagine nel sogno ho un ricordo solo sfumato... era indubbiamente lei, quasi impercettibilmente più bella, un po' più giovane e rilassata, e mi faceva da guida lungo il sentiero. Lei mi parlava in italiano ma era evidente che padroneggiasse fluentemente la lingua del posto, e per questo un po' la invidiavo. Mentre camminavo e guardavo il panorama lei mi ha indicato una costruzione che non pareva in riva al mare ma leggermente in altura, attorniata da una rigogliosa vegetazione. La costruzione era totalmente di lamiera metallica molto spessa assemblata tramite flange imbullonate, dipinta di un rosso quasi rugginoso per la tonalità che sconfinava verso l'arancione carico. A primo achito, anche in relazione al resto del panorama, sembra una stazione di un grande impianto di funivia. Lei mi diceva che quello era il terminal delle navi passeggeri del porto di New York, e mi rassicurava dicendomi che era assolutamente sicura che fosse quello in quanto da li c'era passata. Io, non so per quale ragione, ero desideroso di recarmi in quel posto verso il quale lei mi stava accompagnando. Mentre mi accompagnava lungo il sentiero, probabilmente tenendomi per mano, abbiamo incrociato un uomo che veniva in direzione opposta telecomandando una macchinina di quelle con il motore a miscela di nitrometano. In quella macchinina riconobbi come familiare il carter in alluminio blu del motore e riguardo a questo particolare ebbi a commentare con la mia accompagnatrice.
Il secondo frammento, meno vivido del primo ma sicuramente successivo ad esso, riguardava sempre me e lei, questa volta al coperto in un locale che poteva assomigliare ad una stazione ferroviaria di media dimensione. Io stavo accanto a lei che anche in questa situazione mi conduceva; vi erano delle altre persone con le quali lei ebbe a scambiare delle battute amichevolmente in un inglese estremamente fluido che io non ero in grado di comprendere.
Il terzo e ultimo frammento, anche cronologicamente, è in assoluto il più sfuggente nella mia memoria. Grossomodo riguardava la presenza di me e lei su una grande nave che viaggiava in maniera tranquilla a poca distanza dalla costa su un mare limpidissimo ai cui bordi era riconoscibile un paesaggio che avrebbe potuto benissimo comprendere il luogo in cui era ambientato il primo frammento di sogno. Ricordo che vi era una vedetta che dalla nave controllava permanentemente se vi fossero delle persone cadute in mare. Per un istante poi mi sono trovato io nel ruolo di quella vedetta e ricordo che con il binocolo invece che osservare l'acqua i cerca di possibili naufraghi osservavo ammaliato il paesaggio sapendo che tanto nessuno si sarebbe mai accorto di quella mia negligenza.
Questo è quanto... si potrebbe star delle ore a cercare di interpretare il sogno. Io per il momento, quando ancora il ricordo è stranamente ed eccezionalmente vivido, mi sono limitato a descriverlo affinché possa essere consegnato indelebilmente alla memoria dei posteri.


Mi piacerebbe...

Mi piacerebbe avere intorno tanta gente e poter sapere quanti di loro si svegliano alla mattina ogni giorno con un senso di nausea per la propria vita;
Mi piacerebbe sapere quanti di coloro che vivono eternamente con il sorriso e interpretano sempre ruoli "brillanti", siano in realtà dei mentitori dotati solo di una buona attitudine alla recitazione;
Mi piacerebbe sapere se dietro a quella che appare come un'onda in piena di serenità che pervade molte famiglie vi sia effettivamente serenità o piuttosto bieco conformismo che proprio per la sua beceraggine esige anche un dazio di facciata;
Mi piacerebbe sapere se esiste della gente che assapori tutti i giorni la libertà, che non si senta soggiogata da nulla né in famiglia, né al lavoro, né nella salute, né nella sua espressione nei rapporti con gli altri;
Mi piacerebbe sapere se esiste della gente che oltre i trent'anni si alzi dal letto senza il mal di schiena;
Mi piacerebbe sapere se esiste della gente capace di entusiasmarsi per ogni cosa che ha attorno, un fiore, un frutto, dell'acqua, un animale...

Forse persone così ce ne sono... sono i bambini. Anche io ero così prima di bere dall'amaro calice della vita per poi scoprirlo avvelenato.

22 febbraio 2010

Una strada per chi non trova pace...

"Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te".
Agostino d'Ippona, Confessioni, I,1

06 febbraio 2010

Il furto delle pere

Agostino d'Ippona, nelle "Confessioni" (II, 9), scriveva:

1 Il furto certamente lo punisce la legge tua, o Signore, e anche quella legge che è scritta nel cuore degli uomini e che neppure la stessa loro diffusa iniquità riesce a cancellare: in realtà, qual ladro lascia derubarsi di buon animo da un altro ladro? Neppure chi abbia larghezza di mezzi lascia derubarsi da chi sia spinto da ristrettezza.

2 Anche io volli, volli commettere un furto e lo commisi non certo spintovi da bisogno alcuno, ma piuttosto da difetto e fastidio del sentimento di giustizia e da grassume d’iniquità.

3 In realtà, mi spinsi a sottrarre cosa che avevo in abbondanza e di migliore qualità, né certo volevo trarne alcun tornaconto, ma piuttosto volevo ottenerla attraverso un furto, per la soddisfazione di commettere un furto e di peccare.

4 Vi era un albero di pere nei pressi della nostra vigna, carico di frutti, che non certo si facevano desiderare per bell’aspetto, né per squisitezza di sapore.

5 Trascorremmo, giovanetti birbanti com’eravamo, a scuotere e a spogliare quell’albero, a notte avanzata, dopo d’esserci sin allora attardati in piazza, secondo la nostra rovinosa abitudine, nei giochi, e ne portammo via un carico ingente, non per usarne nelle nostre mense, ma piuttosto per gettarne ai porci. E se mai piccola parte ne mangiammo, questo facemmo, pur di riuscire a prendere soddisfazione di quello che appunto ci piaceva perché non ci era lecito.

6 Ecco qual era il mio cuore, mio Dio, ecco il cuore mio di cui ti sentisti pietà, quand’era precipitato nel fondo dell’abisso. Ecco, ti dica, dunque, il mio cuore a che cosa mai mirava se non a esser malvagio senza alcun tornaconto, tanto da non trovare altra causa alla malvagità, se non nella malvagità stessa. Vergognosa essa era, eppur l’amai, amai la mia morte, amai la mia rovina stessa, non ciò per cui io rischiavo di rovinarmi, ma la mia stessa rovina amai, anima sozza e che si staccava dal tuo fermo appoggio, per trascendere nella rovina, non per commettere atto alcuno disonesto, ma solo perché desiderosa della disonestà.


Questo episodio evidenza a chiunque, credente o non credente, che il male nel mondo esiste. E' una forza che trascende l'uomo e lo può fare schiavo, ed esiste in funzione di se stessa. Penso che tutti, MA PROPRIO TUTTI, abbiamo i nostri alberi di pere... magari non tutti hanno però riflettuto su si essi.