21 settembre 2010

Tra la vita e la morte

Vaso etrusco del quarto secolo avanti Cristo che rappresenta l'uomo tra l’albero della vita e l’albero della morte. Si notino i fiori e le foglie dei due alberi che sono uguali, perché in fondo, forse, si tratta dello stesso albero...
Questa immagine, così antica e così attuale, rappresenta in maniera davvero incredibile la condizione umana. Da un lato quello che sembra più importante, più caro, più desiderabile per la sola ragione di credere di conoscerla, la VITA. Dall'altro l'eterna nemica, il timore reso entità, l'oscuro, la paura, il vuoto: la MORTE. E l'uomo è tra le due. E addirittura può scegliere quale abbracciare, su quale albero arrampicarsi, finché un albero gli sarà imposto. A tutti l'albero della morte sarà imposto.
Camminate, viaggiate per città e paesi, osservate la gente... belle persone, giovani, piene di vita... loro hanno scelto l'albero della luce, della vita... eppure non sono altro che carne per i vermi o per la moffola di un forno crematorio. Nelle stesse strade osservate certi sguardi bassi, certe camminate trascinate, visi in cui la speranza da tempo non alberga e occhi che non contengono più la scintilla vitale. Anch'essi hanno scelto... hanno scelto l'altro albero e di fatto sono ormai morti e trascinano il loro corpo idiota solo per una beffarda e indecifrabile condanna biologica che li costringe a vivere da zombie. Io sono tra questi ultimi... osservo gli animati dalla vita che mi irridono e sorrido al pensiero di quanto essi conosceranno l'estrema nemica che vive accanto a me ormai da decenni.

20 settembre 2010

"Non dovrei scrivere, perché significherebbe scrivere cose tristi".
Ciro Eugenio Milani

Maledette vacanze

E rieccomi in questa situazione del cavolo. Le vacanze. Ovviamente "prese" in un periodo in cui non interferiscono con quelle degli altri... senza per altro che questo mi infastidisca. Infatti per me le vacanze, negli ultimi anni, sono diventate qualcosa di angosciante. Necessarie, assolutamente necessarie, perché lo stress del lavoro raggiunge certi livelli per cui se non dovessi staccare credo davvero che avrei delle crisi ipotoniche. Però poi il vuoto... Ma non un vuoto positivo, e cavolo se è positivo un vuoto da riempire con un relax totale, completo, vergognosamente parassitario del resto della società che lavora. No, un vuoto patologico, che non so riempire se non con ansie, deliri, fobie e sofferenza. Perché la verità è che la mia vita fa schifo, e in come tutte le vite di merda vi è solo il lavoro. E sapete perché c'è solo il lavoro? Perché quello è obbligato se si vuole mangiare, perché se così non fosse non vi sarebbe nemmeno quello. E in ferie quell'unico elemento "sociale" viene a mancare, e tutta la fogna di cui sono fatto non solo viene a galla ma finisce per arrivarmi alla gola e annegarmi. Ed ecco che mi sveglio da solo prima dell'orario in cui mi sveglierei per andare a lavorare, nella testa mi passano solo gli episodi in cui ho fatto schifo a me stesso e agli altri, pensieri popolati di paure più deliranti che reali ma non per questo meno angoscianti, il vuoto, la solitudine, l'illusione di trovare le cause si quest'ultima negli altro salvo essere già in partenza cosciente di esserne l'unico colpevole. E allora confabulare, sognare una vita diversa in un mondo diverso, sognare di aver avuto una famiglia d'origine e di aver saputo costruire una mia nicchia sociale in cui avere la dignità di persona. Però nulla di questo mi è mai riuscito. Penso di essere uno dei peggiori fallimenti che un essere umano possa andare a costituire. Se la selezione naturale non fosse ormai pesantemente falsata da influenze umane esterne io probabilmente non sarei mai esistito... anche se si sta prendendo una grossa rivincita con me visto che nulla dei miei geni perversi sopravviverà alla scadenza dell'affitto di questo mio corpo idiota. Quante volte, oddio, quante volte penso di uccidermi. E il non averlo fatto e il non farlo diviene esso stesso un ennesimo elemento schifoso che mi contraddistingue, perché non si tratta altro che di vigliaccheria. Evidentemente in me c'è posto pure per quella. Eppure gli inizi non erano così... da bambino ero un leoncino che ruggiva, poi gradualmente ma inesorabilmente è cominciato il disfacimento. E come sarebbe facile trovarne i motivi negli altri, in una famiglia che non ho mai avuto, in tanti alibi che sarebbero perfino compresi ed accettati dalla società. Già, sarebbe tanto facile almeno quanto l'ipocrisia che ci vuole per crederci.
La verità è una e una soltanto: sono fatto male, i miei geni portano informazioni devianti e pericolose tra cui quelle di malfunzionamenti psichici e sociali. Sono malato e, quel che è peggio è che da medico conosco bene tutti i limiti e spesso le degenerazioni idiote che caratterizzano gli atteggiamenti "terapeutici" indicati in questi casi. Psicoterapia? Vi saranno almeno 200 scuole che asseriscono cose assolutamente in contraddizione l'una con l'altra... nella migliore e meno probabile delle ipotesi una sola ha ragione e tutte le altre hanno torto. Nella peggiore, e di gran lunga più probabile, tutte hanno torto. E allora cosa rimane? Paroxetina e al bisogno Alprazolam? Certo, funzionano, ma sono veramente stufo anche di queste pseudosoluzioni. Sarebbe di gran lunga meglio del piombo, in formato 9x21, somministrato direttamente nell'organo che non funziona, che in maniera mai così appropriata potremmo definire "organo bersaglio" della terapia, ovvero questo povero cervello con cui da anni sono costretto a giocare a palla.