08 febbraio 2011

Il punto della situazione

Qualcuno sostiene che da ragazzi si ha una visione del mondo paragonabile a quella che i daltonici hanno dei colori, e che "crescendo" (per non dire invecchiando) si riesce sempre più a percepire i "colori del mondo" per quello che sono... Purtroppo o per fortuna cresciuto son cresciuto, ormai gli anni sono trentasette e in questa notte insonne mi sento particolarmente invogliato a fare il punto della situazione. "Punto" che per altro, sarà forse per gli anni che sono passati, non è più solo interrogativo ancorché è ben lontano dall'essere esclamativo... anzi, ho la presunzione di dire che solo gli sciocchi arrivano a punti esclusivamente esclamativi. Però in questi anni ho raccolto o mi è stato tirato addosso un discreto numero di addendi, per cui un po' di somme credo con onestà di poterle tirare.
Da dove partire se non dalle origini... da una famiglia mai stata tale che tuttavia mi ha insegnato a non cascare in una simile tragedia (perché per un bambino due genitori che non fanno altro che litigare sono proprio una tragedia) solo perché si usa così, per demenziali stereotipi sociali che necessariamente debbono essere onorati senza poi sapere il motivo perché questo debba aver luogo. Ma se da un lato quella "cosa sociale" da cui sono venuto (perché chiamarla "famiglia" significherebbe dover riscrivere sui vocabolari il significato di questo termine) è stata fonde di sofferenza, dall'altro qualcosa indubbiamente mi ha insegnato. Mi ha insegnato a non finire a nessun titolo e con nessun ruolo all'interno di un'altra "cosa sociale" simile a quella. Mi ha insegnato a non diventare mai come mio padre pieno di falsi dubbi retorici di facciata ma profondamente convinto di possedere la via, la verità e la vita... e dimostrando quanto possa essere falso un genitore che si rivolge ad un figlio con il classico "ti voglio bene" per poi dimenticarsene da quando questi ha compiuto il decimo anno d'età in poi...
Ma per fortuna in Italia già allora esisteva la separazione e il divorzio, per cui il mostro sociale da cui provengo ha finito anche formalmente di esistere. Da li in poi un'adolescenza sicuramente patologica. Degli anni di chiusura in me stesso, segnati più che da una paura da un profondo fastidio per gli altri, per la compagnia in genere. Già da allora ricordo di aver cominciato a detestare le certezze e sopratutto chi si esprime per certezze e assoluti, cosa assolutamente tipica degli adolescenti di oggi e di allora. Per cui mi sono scavato la mia fossa sociale e ci sono saltato dentro... non credo possa piacere a nessuno essere dentro ad una fossa, tuttavia per quello che era il mio mondo di allora trovavo decisamente più piacevole (o meno foriero di sofferenze) l'interno della fossa che non l'esterno. Mi sono buttato nello studio, o meglio studiavo solo quello che mi interessava, matematica e fisica nei primi anni poi le materie tecniche tipiche di un I.T.I.S... e sono assolutamente consapevole che quello dello studio era comunque solo un rifugio, non uno scopo nobile della mia vita. Eppure qualcosa di nobile nei miei pensieri di allora doveva pur esserci, ricordo di aver spesso riflettuto su come quella schifo di vita avrebbe potuto forse assumere un minimo di significato nel donare se stessi alla sofferenza degli altri al fine di lenirla, e non sapendo da che parte cominciare con le sofferenze peggiori, quelle da disagio sociale e psicologico che mai avevo saputo affrontare nemmeno in me stesso, decisi di occuparmi della sofferenza fisica e mi iscrissi a medicina.
Gli anni dell'università sono stati piatti e vuoti. Permaneva un vuoto tanto assoluto quanto patologico della mia sfera sociale e come al solito il mio bene rifugio ancora una volta si dimostrò essere lo studio. Prima prima di laurearmi conobbi C. Ebbi l'impressione che per una volta nella vita forse qualcuno mi voleva bene davvero. E mi sbagliai, e quanto ci misi a capirlo, dieci anni, dieci anni ad incassare gli effetti nefasti dei suoi disturbi di personalità (che le erano stati diagnosticati da uno psichiatra dal quale fu mandata forzatamente quando a 16 anni aveva tentato di buttarsi dalla finestra), dei suoi istinti nichelistici, dei suoi deliri paranoici e di molto altro ancora... Eppure da dopo laureato C. venne a convivere con me dopo l'ennesima litigata feroce con sua madre, e la mantenni per tutto il suo corso di studi universitari con la mia borsa di studio da medico specializzando (un milione e mezzo al mese, pagato ogni due mesi). E la prima botta me la diede proprio in università quando venni a scoprire che aveva una relazione con un suo docente... Ma mi dicevo che bisognava capire, mi colpevolizzavo, sicuramente era perché io non ero adeguato, mi sentivo male nelle sere in cui sapevo che lei era fuori con quel bastardo... ma la perdonai, e la storia con il professore finì per lisi e non certo per una sua decisione o una sua scelta se non altro per rispetto nei confronti di chi la manteneva... Ed io, come dire, sempre colpevolizzandomi, la perdonai. Poi io mi specializzai feci un concorso è cominciai a lavorare in un ospedale pubblico, lei si laureò e cominciò a lavorare... ma ovviamente lavori non commensurati alle giuste aspettativi ma lavori del cavolo in quanto C. non si è dimostrata nemmeno in grado di trovarsi un lavoro dignitoso. E in uno dei suoi lavori indignitosi trovò modo di farsi una nuova relazione con il suo "capo" salvo poi venire a dirmi che lei mi voleva tanto bene ma che non era innamorata di me... e la nostra storia finì li, in una sera di tardo ottobre, e fu per sua volontà perché io l'avrei ancora "perdonata"... Tutto questo perché, senza dover arrivare a scomodare i teoremi di incompletezza di Godel, finché si è all'interno di una situazione non si ha la possibilità di una visione coerentemente logica della situazione stessa utilizzandone esclusivamente gli strumenti in essa contenuti.
Questo è stato il mio tentativo di rifarmi una famiglia... se avessi creduto da subito a ciò che ritenevo di aver capito della famiglia sul modello di quella da cui provenivo, forse mi sarei risparmiato un bel po' di sofferenza... ma la coscienza delle gravi patologie che caratterizzavano quella e la speranza di essere forse capace di fare un po' meglio, mi illusero per quasi dieci anni.
Dopo la fine con C. ecco degli anni di profonda misoginia, anche se l'istinto mi chiama verso una nuova relazione mi sono ripromesso che mai e poi mai avrei rimesso nelle mani di un'altra persone delle armi capaci di farmi così tanto male.
Gli anni che sono seguiti hanno dimostrato che sono capace di tener fede al mio proposito... solo in alcune situazioni iniziali in cui avevo la sensazione di essere divorato dalla solitudine, mi sono fatto delle amicizie femminili... tutte finite appena mi rendevo conto che da idiota stavo ricadendo in una situazione potenzialmente evolutiva verso qualcosa di simile a quei maledetti 10 anni con C. Comunque credo di non aver mai illuso nessuna, nonostante l'istinto misogino di vendetta verso tutto il genere femminile, credo di non aver mai fatto veramente soffrire una donna, chiarendo fin da principio i limiti di quello che potevo dare.
Ora le donne mi sono diventate praticamente indifferenti, quasi più nessun istinto misogino, ma una assoluta equivalenza tra la forza dell'istinto vitale che mi proietterebbe verso una nuova relazione e la ferma convinzione di non volerlo più fare... per cui per la mancanza di una compagna non soffro più.
In questi anni ho anche scoperto che il chiedere giustizia tramite le istituzioni è assolutamente inutile e fonte di ulteriori frustrazioni... rivolgersi ad un tribunale per ottenere giustizia significa unicamente pasturare uno stuolo famelico di avvocati feroci che comunque un processo vada ci guadagnano sempre... che bel lavoro che fanno! E alla fine (ovvero dopo molti anni) la giustizia è molto probabile che non la si ottenga... no, i tribunali sono una cosa che bisogna lasciare perdere!
E poi il mio rapporto con Dio... sempre più presente nella mia vita mentre io sono sempre più lontano da qualunque religione. L'ho imparato a riscoprire quando un paio di anni fa, dal profondo della disperazione per una cretinata che avevo fatto, ho cominciato dopo tanti anni a rivolgermi a lui... e lui ha risposto, in maniera dirompente, provocando una serie di cambiamenti in vari ambiti della mia vita che mi hanno dimostrato come anche da un episodio vergognoso e disdicevole possa scaturire una lunga serie di eventi molto ma molto positivi.

Sono comunque consapevole che ancora adesso il mio daltonismo non è guarito e che i principi su cui si fonda tutto quello che ho scritto nella vita con i fatti e su questa pagina con le parole potranno essere stravolti tante volte quanti saranno i respiri che mi mancano per concludere questa storta vita... però credo che un punto della situazione (magari non completamente interrogativo) ogni tanto valga la pena farlo affinché il passato divenga uno strumento di navigazione utile ad affrontare al meglio l'oceano procelloso del futuro. Questa si chiama esperienza.